«Il teatro del paesaggio» è l'evocativo nome scelto per il nuovo palcoscenico culturale del territorio: il prezioso lavoro di Antonio Adriano si unisce alle moderne tecnologie e alle simulazioni immersive per rinnovare il racconto dell'ambiente e del territorio. Il risultato è un museo interattivo, in continuo dialogo con il "suo" ambiente. Un occhio al passato, ma lo sguardo rivolto al futuro del territorio solcato dal Tanaro».
Il percorso museale si sviluppa al piano nobile del castello, accanto all'esistente Museo dei Gessi. Scopo dell'allestimento è narrare, attraverso emblematici ed evocativi oggetti di cultura e documenti, e soprattutto grazie ai sistemi multimediali interattivi, il paesaggio collinare e fluviale della Langa e del Roero.
In particolare il Museo intende illustrare e approfondire criticamente il recente periodo segnato da profonde e spesso dirompenti trasformazioni che hanno scompaginato i segni e i ritmi costitutivi spazio-temporali che definiscono i tratti etnici della regione d'indagine. Per far ciò il progetto individua alcune aree tematiche attorno alle quali sviluppare il racconto: la memoria, le colline, il fiume, la pietra, la coscienza.
L'allestimento consente al visitatore di "immergersi" nel paesaggio compiendo diversi percorsi temporali: potrà ad esempio navigare il Tanaro in uno scenario di inizio Novecento, quando il fiume era popolato di pescatori, traghettatori e maceratori di canapa, camminare tra i filari di una vigna per comprendere le sue trasformazioni nel tempo e come queste hanno inciso sul paesaggio locale. Ma potrà anche spingersi nel futuro, per scorgere gli effetti che le scelte in ambito economico, produttivo, costruttivo possono determinare sul territorio.
Ci sono oggetti che docilmente si lasciano collocare in un’esposizione museale: sculture, quadri, installazioni sembrano accomodarsi con naturalezza, gli uni accanto agli altri, a formare percorsi narrativi, storici, tematici.
Racchiudere tra le sale di un museo i paesaggi delle Langhe e del Roero, durante la prima fase di ricerca, sembrava essere una sfida complessa e insidiosa: il paesaggio nella sua multiforme rete di attività umane, storia, racconti, miti, tradizioni ma anche prospettive dialetticamente non conciliabili, sfuggiva all’esigenza d’essere “compresso” e reso fruibile in un percorso di una decina di sale.
La scelta del gruppo di lavoro dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche – cui è stato affidato il compito di predisporre i contenuti culturali e multimediali del Museo Teatro del paesaggio di Magliano Alfieri – è stata quella di porre al centro dello scenario espositivo l’uomo, il contadino, l’allevatore, attore di storie di vita, che, con la sua millenaria azione, ha plasmato le colline di langhe e Roero in un inseparabile intreccio di natura antropizzata, in una terra di eccezionale pregio, memoria stratificata di generazioni.
L’esposizione museale è suddivisa in due grandi sezioni: la prima, tematica, affronta i principali aspetti della presenza umana su queste colline, con un’attenzione particolare alla cultura contadina. La seconda sezione ha invece un carattere cronologico e coglie le più importanti fasi di trasformazione della civiltà contadina.
Dopo una prima grande sala ove è presente una proiezione che ricostruisce, dall’alba al tramonto, una giornata tra i paesaggi di Langhe e Roero, attraverso immagini di grande impatto estetico, il visitatore viene introdotto dall’attore Roberto Citran alle ragioni profonde che hanno spinto il Comune di Magliano Alfieri a realizzare il Museo. Fin dalle prime battute di Citran è chiaro che il vero dominus di questo museo è l’intellettuale maglianese Antonio Adriano, che a partire dagli anni Settanta nel suo incessante peregrinare per il territorio alla ricerca delle radici della cultura contadina, raccolse, con i ragazzi del paese, costituitisi nel Gruppo Spontaneo, un’enorme quantità di testimonianze orali, materiali della tradizione contadina, canti, con la consapevolezza che la memoria orale di un intero popolo, tramandata per generazioni, stava per essere cancellata dal colpo di spugna dell’industrializzazione degli anni del boom economico.
Al termine del corridoio, all’interno di una cornice preziosa, sono proiettate le immagini dei luoghi connessi alle pagine più significative dei grandi scrittori, come Pavese e Fenoglio, che hanno trasformato le colline di Langa in un paesaggio parlante, animato da personaggi oramai mitici, da misteriose creature e divinità silvane.
La sala successiva è dedicata ad analizzare le trasformazioni subite dal paesaggio nel corso del tempo, attraverso la lente di numerose discipline. A partire dalla geologia, che ci permette di comprendere sia l’origine della morfologia collinare di Langhe e Roero che la struttura e la composizione degli strati più profondi che hanno consentito di realizzare colture e prodotti celebrati nel mondo.
Nove video, cinque animazioni cartografiche e un punto interattivo dedicato all’approfondimento offrono al visitatore la possibilità di selezionare gli argomenti di maggior interesse e scavare nel profondo di queste colline.
La valle del Tanaro nasconde habitat ideali per una moltitudine di animali, spesso timidi, difficili da osservare, amanti delle zone umide. A questi scrigni, ricchi di vita, è dedicato un piccolo spazio con le riprese di tantissimi animali selvatici e un punto interattivo con schede di approfondimento dedicate a uccelli, anfibi e una selezione di itinerari da percorrere a piedi o in bicicletta.
Seduti su un navèt e immersi tra le sponde del fiume Tanaro gli spettatori saranno testimoni, nella sala seguente, di alcune delle principali attività di cui il grande fiume, che separa e unisce langhe e Roero, è stato a lungo scenario privilegiato. Quando i ponti sul Tanaro erano molto più radi i traghettatori univano le due sponde del fiume e permettevano, a tutti coloro che ne avevano necessità, di attraversare il corso d’acqua con i loro barconi, alimentando miti e leggende rimasti saldamente ancorati alla tradizione locale.
Le sale successive sono dedicate alla cascina, un manufatto complesso, frutto di tecniche costruttive consolidate nel tempo, necessarie a creare relazioni funzionali con la morfologia delle colline: mai costruite su un crinale, evitavano i gelidi venti invernali e la calura estiva, determinando progetti di sostenibilità paesaggistica e ambientale non ancora del tutto compresi e recuperati dalla modernità.
Gli attrezzi del lavoro quotidiano, raccolti e restaurati dagli Amici del castello Alfieri, la ricostruzione di una chiesetta dalla bella facciata romanica e di una “casa grotta” completano gli elementi di contesto che aiutano a comprendere un mondo, quasi del tutto scomparso e per certi versi difficile anche solo da immaginare se pensiamo, ad esempio, all’intima relazione quotidiana tra uomini e animali che i lunghi mesi invernali portavano all’estremo durante le veglie.
Qui si conclude la sezione tematica del museo per lasciare spazio a tre sale che hanno il compito di “tirare le fila” del complesso discorso sviluppato sin qui.
Nella prima di queste tre sale la vite è presa come coltura di riferimento per illustrare tre momenti storici che hanno segnato in modo indelebile la vita e il paesaggio delle colline di Langa e Roero: la prima fase è quella di espansione, quando la vite portò a trasformare il paesaggio da una distesa di boschi in una complessa ragnatela di filari. A questa seguono gli anni della “malora” con le gravi patologie della vite, tra cui la fillossera, che costrinse chi restò in campagna a scavare trincee e reimpiantare le viti su piede americano.
La meccanizzazione, terzo e ultimo passaggio storico, diede ulteriore forza al fenomeno dell’abbandono delle campagne a favore dei centri urbani industrializzati, spopolando le campagne e creando la dispersione della cultura immateriale che per secoli aveva governato questi territori con equilibrio e parsimonia, aprendo la strada ad un “progresso”, che ha segnato profondamente non solo l’estetica delle nostre colline.
La sala seguente è proprio rivolta a far riflettere sulle conseguenze che le nostre scelte hanno sull’impatto paesaggistico: un grande piano ospita lo scenario di gioco “costruire il paesaggio” invitando i più giovani, ma non solo, a cimentarsi nel collocare varie tipologie costruttive, ricevendo indicazioni e un punteggio, ricavato sulla base delle scelte adottate.
Il museo si chiude con un’ultima sala destinata a far riflettere sull’intero progetto, sul senso di costruire un museo del paesaggio, che porta l’attenzione dello spettatore non tanto sulla dimensione estetica, sulle “immagini da cartolina”, ma sulla cultura millenaria che ha edificato e plasmato questa terra.
Il complesso lavoro di valorizzazione della cultura contadina, operato da Antonio Adriano prima e dal Gruppo Spontaneo poi, sono stati assunti come un esempio paradigmatico, un filo rosso da seguire per recuperare il senso di appartenenza a una comunità, a una lunga e fiera tradizione culturale che trova la sua ragion d’essere nella valorizzazione del meraviglioso mondo collinare di Langhe e Roero.